CIRCOLARE N. 11 DEL 29 GENNAIO 2018
DIVIETO DI PAGAMENTO DEGLI STIPENDI IN CONTANTI
DAL 1° LUGLIO 2018
Rif. normativi
e di prassi: |
Legge di Bilancio 2018 (Legge 205/2017) |
In sintesi
La Legge di Bilancio relativa al 2018 (Legge 27 dicembre 2017, n. 205, pubblicata in G.U. 29 dicembre 2017, n. 302) all’art. 1, commi da 910 a 914 ha introdotto la seguente norma: le buste paga dei dipendenti impiegati nel settore privato non potranno più essere liquidate in contanti, ma è necessario avvalersi di mezzi telematici che ne traccino la genuinità. Il divieto scatterà dal 1° luglio 2018.
Introduzione
All’articolo 1, commi da 910 a 914, della Legge di Bilancio 2018, rubricato “Modalità di corresponsione della retribuzione e dei compensi ai lavoratori”, il governo ha inseritola seguente disposizione: dal 1° luglio 2018, i datori di lavoro o committente non potranno più pagare i dipendenti o collaboratori in denaro contante. Dunque, la pratica tanto diffusa delle aziende di retribuire i propri dipendenti senza traccia alcuna, dovrà essere presto abbandonata. Come prova del pagamento, vale solo la tracciabilità del denaro.
Soggetti interessati
I soggetti interessati sono definiti al comma 911, il quale così recita:
“I datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato”.
Già da questo breve comma è possibile affermare che la novella investe tutti i datori di lavoro del settore privato, nonché i committenti, che impieghino lavoratori qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro. È dunque verosimile considerare tutti gli istituti contrattuali contenuti nel D.lgs. n. 81/2015, ossia:
- il contratto a tempo indeterminato (art. 1 );
- le collaborazioni organizzare dal committente (art. 2 );
- il contratto a tempo parziale (c.d. “part-time”) (artt. 4-12 );
- il contratto intermittente (c.d. “a chiamata” o “job on call”) (art. 13-18 );
- il contratto a termine (art. 19-29 );
- il contratto di somministrazione di lavoro (art. 30-40 );
- il contratto di apprendistato (art. 41-47 );
- il contratto di lavoro accessorio (sia nella forma del “contratto di prestazione occasionale” che nella forma del “libretto famiglia”) (art. 54-bis del D.L. n. 50/2017, convertito nella Legge n. 96/2017 ).
A tal proposito, il legislatore fornisce anche una puntuale definizione della locuzione “rapporto di lavoro”, intendendo come tale “[…] ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle modalità di svolgimento della prestazione e dalla durata del rapporto, nonché ogni rapporto di lavoro originato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa e dai contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001 , n. 142” (co. 912).
Si ricorda che l’art. 2094 del codice civile fornisce la definizione di “prestatore di lavoro subordinato”, ossia colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.
La norma include anche tutti quei rapporti svolti in qualsiasi forma e indipendentemente dalla durata del rapporto stesso. In merito alla durata si è già accennato che sono inclusi i lavoratori a tempo parziale, ma per quanto riguarda le modalità di prestazione, a parere di chi scrive, è plausibile considerare anche la nuovissima forma del lavoro agile (c.d. smart working), disciplinato dalla Legge n. 91/2015 (c.d. “Jobs Act autonomi”).
Sono da includersi, altresì, a norma di legge, i contratti di lavoro instaurati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci ai sensi della legge 3 aprile 2001, n. 142.
Soggetti esclusi
Il comma 913 stabilisce che:
“Le disposizioni di cui ai commi 910 e 911 non si applicano ai rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a quelli di cui alla legge 2 aprile 1958, n. 339, né a quelli comunque rientranti nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici, stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.
Pertanto, rimangono esclusi dall’obbligo di retribuire il lavoratore con i mezzi telematici:
- i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165;
- i rapporti di lavoro nell’ambito di applicazione dei contratti collettivi nazionali per gli addetti a servizi familiari e domestici (comunemente chiamati “colf e badanti”), stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
I mezzi di pagamento
Sul punto, il comma 910 afferma che:
“A far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonché ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi:
- bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore;
- strumenti di pagamento elettronico;
- pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
- emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento è il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purché di età non inferiore a sedici anni”.
Leggendo il comma appena riportato, salta immediatamente sott’occhio che l’obbligatorietà del pagamento telematico non riguarda solo ed esclusivamente la retribuzione mensile percepita dal lavoratore, ma anche “ogni anticipo di essa”. Ergo, un dipendente che per esempio dal 1° luglio 2018 chiedesse al proprio datore di lavoro un anticipo del proprio Trattamento di Fine Rapporto, fermo restando l’esistenza dei requisiti previsti dalla vigente normativa, dovrà ricevere l’intero importo sul mezzo di pagamento telematico concordato.
Al fine di individuare gli strumenti di comunicazione idonei a promuovere la conoscenza e la corretta attuazione delle disposizioni di legge, entro 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di Bilancio 2018, il Governo stipula con le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale, con l’Associazione bancaria italiana (Abi) e con la società Poste italiane Spa un’apposita convenzione.
Inoltre, la Presidenza del Consiglio dei ministri, in collaborazione con il Ministero dell’economia e delle finanze, predispone campagne informative, avvalendosi dei principali mezzi di comunicazione, nonché degli organi di comunicazione e di stampa e di soggetti privati. A tal fine, è autorizzata la spesa di 100.000 euro per l’anno 2018.
Firma busta paga e sanzioni
Infine, altro aspetto importante è che la firma sulla busta paga non costituirà prova dell’avvenuto pagamento. Anche in questo caso, la scusa del datore di lavoro di far valere la firma del dipendente sul cedolino come prova del fatto di aver versato l’importo indicato sullo stesso, non più essere fatto valere.
In merito al regime sanzionatorio, nell’ultimo periodo del comma 913 è espressamente specificato che il datore di lavoro o committente che viola l’obbligo di retribuire il dipendente in maniera telematica, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro.
L’importo della sanzione varierà in base alla gravità e la durata della violazione.